lunedì 2 maggio 2016

SS Rufina e Seconda la loro storia romanzata

SS Rufina e Seconda la loro  Storia romanzata


Nell’anno 260 sotto il cielo di Roma, le  sorelle Rufina e Seconda di nobile stirpe, figlie di Asterio e Aurelia, furono promesse in matrimonio a due giovani di egual nobiltà, Armentario e Varino entrambi di fede cristiana.  Tuttavia poco dopo il fidanzamento i due ragazzi abbandonarono la fede cristiana, tornando ad adorare gli idoli. Le giovinette tentarono in ogni modo di dissuaderli, ma a nulla valsero le loro parole…

 :<<Cosa facciamo Seconda? Dobbiamo sciogliere la promessa di matrimonio.>>  Mormorò Rufina angosciata, passandosi una mano fra i  lunghi capelli neri, trattenendo a stento il pianto.
:<<Se li oltraggeremo in tal modo non ci perdoneranno>> aggiunse preoccupata, alzandosi di scatto dal triclinium. :<<Perché non dici nulla?>> gridò spazientita  alla sorella che sembrava non udirla assorta in pensieri lontani, soave, nella  lunga veste candida drappeggiata attorno al corpo minuto. Stava  ritta di fronte alla piccola finestra dell’ampia sala della domus paterna, con i capelli color grano  maturo raccolti sulla nuca che enfatizzavano l'espressione innocente del suo volto.  Si voltò verso di lei :<<Dio ci aiuterà>>, affermò serena. Dopo un sospiro aggiunse << asciugati gli occhi Rufina e smettila di agitarti così, che sembri un uccellino caduto dal nido!>> Risero entrambe.  L'altra le andò accanto, cingendola in un abbraccio
:<< Allora domani glielo diremo che... non possiamo più sposarli?>> chiese  crucciata, aspettando ansiosa una risposta.  
<< Sì, e sarà terribile recare loro questa offesa>>, affermò Seconda dopo un po' quasi parlando tra sè, << ma peggio sarebbe recarla a nostro Signore, che pur nelle inquietudini di questa vita tanto ci ama>> concluse, guardando dolcemente la sorella.
Come spesso accade nella vita quando si è prossimi a una grave decisione, il pomeriggio sembrò non passare mai, la nottata delle due fu popolata da incubi e presagi. Sapevano che i fidanzati avrebbero fatto pagar loro l’oltraggioso rifiuto. Si alzarono che albeggiava appena, dall'agitazione non mangiarono nulla dei cibi preparati dalla servitù. Temendo di venire dissuase non informarono nemmeno la loro   madre della decisione presa.
Rufina e Seconda uscirono di casa con la scusa di recarsi  al mercato sulla via Cornelia.  Non vollero essere portate con la lettiga dagli schiavi come di consueto, ma preferirono muoversi a piedi per avere maggiore libertà d’azione. Dovevano recarsi da Varino e Armentario avviati all'avvocatura in veste di iuris peritus, in quel giorno presenti  fra il pubblico  del Senato per assistere a un comizio popolare. Le due sorelle a fatica, si aprirono un varco nella calca dell’aula del Templum passando negli scanni dei subalterni dove sarebbero state meno notate. Seconda in lontanaza vide Armentario affrettarsi a raggiungerla.
 :<<Come mai siete qui?>> le chiese sorpreso dall'insolita visita. 
:<< Dobbiamo... Devo parlarti.>>  affermò tesa la giovane, stringendo  la mano della sorella accanto. 
:<< Cosa?>> Rispose Armentario assordato dal chiasso intorno. 
<< Devo parlarti,>> ripetè la donna alzando il tono della voce.
 :<< Cosa sarà mai di così importante da non poterlo dire anche dopo!>> Osservò l'uomo raggiunto nel frattempo da Varino. Seconda imbarazzata non rispose. 
<< Non sarà mica sempre quella storia del vostro Dio?” Osservò ad un tratto Armentario ridendo. 
<< Non c’è niente da ridere.>> Intervenne Rufina, mentre Varino la guardava incerto.
<< Davvero, non c’è niente da ridere!>> Rincarò Seconda con moto di rimprovero. Varino le strinse talmente forte l’avambraccio da far male. Lo guardò sgomenta, quanto trapelava da quel gesto  non lasciava presagire nulla di buono.
<<Non vogliamo più sposarvi!>> Esclamò la donna ad alta voce nel tentativo di sovrastare il
il chiasso intorno. Un conoscente  passato loro accanto, sentendo di cosa stavano parlando dedicò uno sguardo ironico ai due uomini. 
:<< Come puoi sfrontata, denigrarmi così al cospetto di tutti?!>> gridò  Armentario.
:<< Siete degli idolatri e non possiamo più sposarvi>> Ribadì la giovane in lacrime.   
:<<Tieni in serbo le lacrime per quando dovrai versarle tutte!>> Ammonì duro Armentario, invitando Varino a seguirlo :<<Ma sai cosa fanno ai cristiani?>> Chiese Varino prima d’andar via guardando cupamente Rufina, confusa e irresoluta davanti ai profondi occhi grigi dell’uomo che comunque amava. 
<< Lasciaci in pace>> intervenne Seconda, prendendo sotto braccio la sorella in procinto di andare. 
:<< Se uscirete di qui senza ritrattare quanto detto vi denunceremo,>> minacciò freddo Armentario al passaggio delle due, <<poi vedremo cosa farà il vostro Dio!>> osservò beffardo. Le donne uscirono in silenzio, mestamente si avviarono verso casa. 
 :<< Dobbiamo fuggire >> mormorò Rufina affannata << no, non voglio morire così, fra a
atroci tormenti>> gridò colma di presagi, incurante della gente che passando la guardava vedendola stravolta. Rincasate, senza essere scorte da alcuno, misero poche cose in un fagotto e fuggirono per raggiungere la terra di Toscana. Era l’imbrunire quando vennero raggiunte al 14° miglio della via Flaminia da due bighe con dei soldati romani a bordo, accompagnati dai loro promessi. << Eccole, sono loro! >> Disse Varino additandole. Le  giovinette spaventate rimasero immobili mentre il drappello di uomini le accerchiava. :<<Ora sarai contenta no?>> gridò Armentario colpendo  Seconda con uno schiaffo, << tutti ridono di me  a causa tua >> continuò con rabbia. Malgrado la donna non volesse, la strinse fra le braccia e la baciò per poi allontanarla sprezzante. :<< Ecco, ora prega il tuo Dio, affinché questi soldati non ti violentino>>.
Seconda guardò terrorizzata i soldati accerchiarla. Pregò il Signore perché le venisse risparmiato  quell’orrore. Fra risa di scherno quegli uomini cominciarono a strattonarla, spingendola  uno nelle braccia dell’altro in una sorta di gioco crudele, fin quando cadde. Aveva l’irreale sensazione di fluttuare come distaccata dal corpo, spettatrice di se stessa.  Il terrore la attanagliava a tal punto che le grida della sorella testimone impotente di quella scena orribile, le giungevano in lontananza in una sorta  eco. Strinse con forza gli occhi. Le lacrime scesero a rigarle il volto. :<<Fermi!>> gridò un uomo appena sopraggiunto. Seconda lo osservò, soffermandosi smarrita sul  candore del suo corto mantello. Era Archesilao Conte, incaricato della loro cattura. 
:<< Costoro devono essere condotte al cospetto del prefetto Giunio Donato.>> aggiunse, aiutandola a rialzarsi. :<<Come avete osato fare ciò?>> chiese rosso in volto dalla collera, mentre Varino e Armentario vilmente tacevano. <<Appartengono ad una famiglia nobile e non deve essere torto loro nemmeno un capello, finché il Prefetto non le avrà interrogate>> continuò, invitando le giovinette a salire sul suo  carro. 
Frattanto era scesa la notte e gli uomini della scorta avevano acceso le torce dalle quali si
si  sprigionava un persistente odore di resina, che ricordava alle sorelle giorni migliori. :<<Coraggio.... nessuna paura.>> Mormorò Seconda carezzando Rufina che la ricambiò con un sorriso stanco.   Era l'alba quando giunsero alle porte di Roma. Attraversando la via Cornelia si unirono ad altre carovane superando Selva Nera, sino al Templum dove il prefetto Giunio Donato era in attesa per giudicarle, accusate dai loro ex fidanzati di essere cristiane, di non aver per tale motivo tenuto fede alla promessa di matrimonio. Davanti al tribunale Archesilao le fece scendere dal carro dove stavano, seguite da Varino e Armentario, mentre i loro genitori Aasterio e Aurelia tentavano invano di avvicinarsi. 
Entrarono nell’aula gremita di gente al cospetto del prefetto di Roma, un uomo di mezza età di corporatura robusta, dai profondi occhi neri. Giunio  le guardò a lungo. Comparivano così provate, spaventate, sorrise loro mentre un oratore prendeva la parola. 
:<< Oggi sono chiamato a difendere le giovani Rufina e Seconda, figlie di Asterio e Aurelia
di stirpe romana illustre, accusate dagli ex fidanzati di cristianità >>. 
L’oratore si schiarì la voce e fece per continuare <<Per questo dico che...>> Il Prefetto con un cenno della mano lo zittì e prese la parola sovrastando con la voce il mormorio  del pubblico presente all’udienza. 
:<< Immagino che queste graziose giovinette siano ansiose di discolparsi e chiarire l'equivoco...>> disse Giunio avvicinandosi  lentamente fino a fermarsi davanti a loro. Rimasto in silenzio arretrò di un passo e per un  momento  sembrò  non riuscisse più a parlare. Lo sguardo di ammirato stupore correva di continuo da Rufina a Seconda e viceversa :<< Nei vostri occhi>> mormorò, ammaliato e incredulo facendosi più vicino alle due <<... i vostri occhi >> ripeté atono, mentre vedeva un innaturale chiarore provenire dallo sguardo delle donne. Con fare incerto alzò una mano, toccò la spalla di Rufina poi sfregò piano l’indice contro il pollice e si guardò le dita, quasi aspettasse di trovarvi sopra qualcosa. :<<Io... devo giudicarvi,>> considerò distratto, continuando a fissarsi le dita  <<ma, confido nella vostra intelligenza e sono certo che due brave ragazze come voi, sapranno spiegare l’equivoco che ha portato Varino e Armentario a crederle cristiane>> disse, tornando al suo posto.
:<<Rispondete!>> Sbraitò dopo un po’, dato il loro ostinato silenzio. 
<<Se ora direte che c’è stato un errore e non siete cristiane io vi farò subito liberare.>> Incalzò quasi supplice.
Nell’aula si era  levato un  brusio, qualcuno fra la folla gridava <<Innocenti, innocenti!>>
:<<I nostri fidanzati hanno detto il vero.>> Proruppe Seconda ad un tratto con voce chiara  non tradendo la minima emozione. :<<Allora non sapete quale fine vi aspetta!>> rispose  Giunio. <<No, che non lo sapete>> osservò, scuotendo il capo amareggiato << ora ve ne darò una piccola dimostrazione,>> aggiunse perentorio. 
:<<Guardie, prendete questa donna e frustatela>> comandò, indicando Rufina che   afferrata dai pretoriani, denudata fino alla vita fu fatta inginocchiare. Il Prefetto fece un cenno di assenso e una guardia cominciò a colpire con il flagello la schiena della giovane, che tacque sopportando il dolore, fin qunado alla sesta staffilata svenne. 
:<<Allora?>> Chiese il prefetto a Seconda.
:<<Sono addolorata...>> mormorò la donna in lacrime. L’uomo la guardò soddisfatto prima di sentirla aggiungere <<che non sia stato concesso a me l’onore di patire per nostro Signore>>. 
 :<<Ebbene, non mi lasciate altra  scelta>>  mormorò Giunio mestamente. Poi sfidando Rufina con lo sguardo aggiunse :<<Credo che  nel Calidarium, fra i vapori bollenti cambierete idea. >> Aspettò un momento prima di continuare, nella speranza che spaventate all’idea di finire bollite vive, implorassero pietà e rinnegassero la fede cristiana, ma non fu così.             
Mentre i soldati  le conducevano al supplizio la matrona Aurelia  loro madre,  disperata inveì contro il Prefetto. Fu allontanata in malomodo da una guardia  nel vano tentativo di abbracciare le figlie. Le sorelle furono rinchiuse nel Calidarium e lasciate lì per qualche ora, ma quando  andarono a recuperarle con grande sorpresa le trovarono incolumi, senza alcuna scottatura sulla pelle. Appreso ciò il prefetto Giunio ordinò che fossero rinchiuse in una stalla ricolma di sterco, così da restarne soffocate ma le ragazze uscirono  di lì il giorno seguente vive, emanando addirittura un soavissimo profumo di rose in boccio. I presenti videro una prodigiosa quanto tenue luce azzurra sollevarle da terra, tenerle sospese in  aria alcuni momenti. Il Prefetto avuta notizia di questo secondo straordinario prodigio benchè ne fosse davvero impressionato, ligio tuttavia al suo dovere ordinò che fossero condotte al fiume Tevere e ivi gettate con una pietra legata al collo.  Un angelo chiaro come la luna fatto di quella stessa luce tenue, resse loro la testa riportandole in volo fin sulla sponda del fiume, illese. A quel punto Giunio non sentendosi più capace di continuare a far loro del male, le   consegnò di nuovo al Conte Archesilao che  le aveva arrestate sulla via Aurelia, affinché decidesse cosa farne.  Quell’uomo crudele fece condurre Rufina e Seconda in una selva denominata Sylva Nigra, poiché  malapena vi penetrava il sole come nel suo cuore, e ivi giunti  tagliò la testa a una. 
L’altra la finì a bastonate, lasciando i corpi in pasto ai  corvi. 
 Sylva Nigra apparteneva alla matrona Plautilla che una notte sognò le due sorelle.


:<<Vieni a prenderci Plautilla che gli animali selvatici stanno facendo scempio di noi, non possiamo riposare  in pace finché non avremo degna sepoltura. Siamo intrappolate  qui sulla tua terra  fra le tenebre che ci spaventano, ti supplichiamo vieni a prenderci...>>. 
La matrona si svegliò di soprassalto  tanto era stata reale la loro presenza. Alzatasi ordinò ai  suoi servi di cercare i corpi delle giovinette che appena ebbe recuperati, fece seppellire nei pressi della sua terra che da quel momento prese il nome di Sylva Candida in memoria delle due Martiri.

(Storia pubblicata a puntate sul giornale"La Cicala" anno 2008  C.copyright) (L.A)















 

 











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